I monumenti di Praeneste, la cui costruzione si distribuisce lungo almeno sette secoli di storia, consentono anche di osservare l’evoluzione delle tecniche edilizie nell’antichità.
- Le mura difensive, come pure le strutture di terrazzamento sono costruite in opera poligonale, detta anche ciclopica. I grossi elementi di forma irregolare che vengono utilizzati in questa tecnica – utilizzata nel Lazio tra VII e II secolo a.C., cioè dalla primissima età arcaica alla tarda età repubblicana – hanno dimensioni tali che nei secoli passati la loro movimentazione veniva appunto attribuita ai Ciclopi, i mitici giganti con un occhio solo che, secondo Omero, avrebbero abitato la penisola. I massi venivano in realtà cavati sullo stesso sito dove dovevano sorgere le fortificazioni, o i terrazzamenti, sbozzati con martello e scalpello, erano messi in opera con l’aiuto di macchine elevatrici dette caprae. La forza necessaria al sollevamento era fornita da animali o, talvolta, anche da uomini, che facevano muovere grosse ruote. Un esempio di queste macchine è quella rappresentata nel rilievo decorativo della tomba degli Haterii, famiglia di imprenditori edili di Roma. I massi erano sovrapposti senza l’uso di malta o leganti ed il muro si regge grazie al peso degli elementi che lo compongono ed alla forma grazie alla quale la spinta si distribuisce su tutta la parete.
Con questa tecnica furono realizzate a Praeneste le mura difensive ed i terrazzamenti urbani, nonché le terrazze del Santuario di Fortuna. - L’opera quadrata. Tra VI e IV secolo a.C. l’uso del tufo, assai abbondante nel sottosuolo delle città laziali, si diffonde sempre di più. Questa roccia vulcanica, più tenera e facilmente lavorabile rispetto al calcare, viene tagliata in forma di grossi blocchi parallelepipedi, detti ortostati. Questi, disposti alternativamente per testa e per taglio, danno al muro che compongono un aspetto assai regolare, da cui il nome convenzionale della tecnica. Anche nell’opus quadratum non è previsto l’utilizzo di malta e leganti; in alcuni casi però il possibile scivolamento dei singoli elementi, assai più leggeri dei grossi massi che compongono il poligonale, era contrastato con l’uso di grappe di piombo, colate in incassi appositamente ricavati sulla testa dei blocchi.
Questa tecnica resta in auge fino all’inizio dell’epoca imperiale (I secolo d.C.); a Praeneste è impiegata nelle fortificazioni, nel basamento del tempio sotto la cattedrale, nei ninfei del Borgo e nel complesso di via degli Arcioni. - Nel corso del II secolo a.C. si diffonde nell’Italia romana l’uso dei cosiddetti conglomerati cementizi. La calce, mescolata a pozzolana o sabbia, dà un composto fluido ed elastico chiamato malta. Alla malta, per aumentarne resistenza e velocità di essiccazione, si uniscono scapoli di tufo, calcare o frammenti di laterizi, ottenendo così l’opus caementicium, un vero e proprio cemento che, colato in casseforme lignee, si solidifica in breve tempo. Il cementizio viene impiegato da solo in fondazioni e coperture a volta, mentre per la realizzazione delle pareti si preferisce rivestire un nucleo di conglomerato con paramenti esterni composti da blocchetti di diverso materiale. La forma della parete dà, per convenzione, il nome alla tecnica. Piccoli scapoli irregolari di calcare o – più raramente – di tufo, caratterizzano il cosiddetto opus incertum, utilizzato a partire dal II secolo a.C., e che a Praeneste fu impiegato nelle grandi realizzazioni tardorepubblicane: il Santuario di Fortuna, gli edifici del foro, il complesso Propilei-Arcioni.
Nel corso del I secolo a.C., invece, i blocchetti che compongono i paramenti assumono la caratteristica forma di losanghe disposte in reticolo. Questo opus reticulatum, che dominerà il paesaggio antico fino al II secolo d.C. inoltrato, viene spesso utilizzato insieme al mattone (opus mixtum). Costruzioni interamente in laterizio cominciano invece ad apparire alla metà del I secolo a.C., ma si diffondono in maniera esponenziale a partire dalla metà del secolo successivo e fino alla piena età medievale.
Il reticolato è attestato a Palestrina in una serie di domus con fasi repubblicane ed alto-imperiali, mentre interamente in laterizio sono il castellum aquae e il cisternone visibili su via degli Arcioni.